IL PRETORE Visti gli atti del giudizio civile n. 505/1992 r.g. a.c. lav., vertente tra Trovato Giuseppe, rappresentato e difeso dagli avv.ti A. Agnello, N. Gentile e C. Spadola - attore; contro Plasticontenitor S.r.l. corrente in Scicli, rappresentata e difesa dagli avv.ti. P. Petino e R. Rossino - convenuta; Ritenuto in punto di fatto L'attore, esponendo di avere lavorato alle dipendenze della societa' convenuta a far tempo dal 3 maggio 1976 con le mansioni di autista prima e, da ultimo, con le mansioni di addetto allo stampaggio, lamenta che la societa' datoriale, ritenendo infondatamente la sua inidoneita' alle mansioni svolte, lo licenziava a decorrere dal 3 luglio 1992. Chiede, conseguentemente, di essere reintegrato nel posto di lavoro, con ogni conseguenza in ordine al risarcimento dei danni giusta quanto disposto dall'art. 18 dello "Statuto". La convenuta eccepisce che il licenziamento e' stato disposto a seguito di vista specialistica collegiale da parte del competente organo medico presso l'USL n. 24 di Modica, richiesta dall'obiettivo stato di malattia del ricorrente risultante dai numerosi ricoveri ospedalieri e assenze per malattia e dal conseguente giudizio d'inidoneita' psicofisica espresso da detto organo. Chiede, pertanto, il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la condanna dell'attore al risarcimento dei danni subiti a seguito degli incidenti provocati dal Trovato nel periodo in cui svolgeva le mansioni di autista, nonche', sempre in via riconvenzionale, la condanna dell'attore alla restituzione dell'indennita' sostitutiva di preavviso corrispostagli all'atto del licenziamento. All'odierna udienza di discussione la causa, essendo stata parzialmente decisa con l'accoglimento della domanda di reintegrazione nelle mansioni assegnate al ricorrente all'atto del licenziamento e il rigetto delle riconvenzionali, e' stata rimessa sul ruolo per l'ulteriore corso in ordine alla domanda di risarcimento del danno; Osserva in diritto 1. - L'art. 18 dello "Statuto" impone al giudice, il quale, dichiarando inefficace il licenziamento ai sensi dell'art. 2 della legge n. 604/1966 o annullando il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero dichiarandone la nullita', ordina la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, di condannare "il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata l'inefficacia o l'invalidita' stabilendo un'indennita' commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell'effettiva reintegrazione". La norma in questione stabilisce, inoltre, che il risarcimento anzidetto non puo' essere inferiore a cinque mensilita' di retribuzione globale di fatto e che il lavoratore puo' optare, in luogo della reintegrazione, per la corresponsione di un'indennita' pari a quindici mensilita' di retribuzione globale di fatto. 2. - Cosi' come e' stato costantemente ritenuto (cfr. Cass. 3250/1982), la normativa in esame, prevedendo la c.d. "tutela reale" fondata sulla illegittimita', sotto vari profili, del licenziamento, ha indubbiamente collegato l'obbligo risarcitorio a carico del datore di lavoro alle norme di diritto comune in tema d'inadempimento. In altri termini, vertendosi in tema di contratto a prestazioni corrispettive, l'illegittimita' del licenziamento configura un inadempimento imputabile al datore di lavoro, il quale, avendo ingiustificatamente impedito al lavoratore di adempiere prestando la propria attivita' lavorativa, e' tenuto a risarcirgli il danno patito. E poiche' a tal fine devono essere considerate tutte le utilita' economiche non conseguite nel periodo in cui il rapporto non ha avuto esecuzione, il danno viene dalla legge commisurato oltre che alla retribuzione globale di fatto che il lavoratore avrebbe percepito, anche al versamento contributivo al quale avrebbe avuto diritto, se il rapporto non fosse stato interrotto per effetto dell'illegittimo recesso, il quale, essendo, per l'appunto, illegittimo, non determina alcuna soluzione di continuita' del rapporto. Da cio' la necessita' che la retribuzione vada corrisposta e i contributi vadano versati fino al momento in cui venga meno, con la reintegrazione, la cesura operata dal licenziamento e venga, conseguentemente ricostituito il rapporto contrattuale, ovvero venga meno, con il reperimento di una nuova occupazione, la conseguenza lesiva prodotta dalla cessazione dell'attivita' lavorativa. 3. - Orbene, l'esigenza di tutela risarcitoria prevista dalla normativa anzidetta, non sembra potersi ipotizzare, o, in ogni caso, non puo' porsi a carico del datore di lavoro, nell'ipotesi in cui il licenziamento sia stato intimato per effetto di verifica d'inidoneita' al lavoro accertata in esito alla procedura di cui all'art. 5 dello Statuto e della conseguente constatazione che le condizioni di salute come sopra accertate, essendo in concreto incompatibili con le mansioni assegnate, o con mansioni equivalenti, o, sia pure, con altre mansioni piu' leggere, giustificano l'applicazione degli artt. 1256 e 1463 cod. civ. In tal caso, infatti, non sembra potersi seriamente contestare che l'intimazione del licenziamento consegue a un evento (l'accertamento dell'organo medico della struttura pubblica) che, non solo non e' riconducibile alla volonta' del datore di lavoro, ma giustifica anche la sussistenza di un legittimo motivo di recesso, ex art. 3 della legge n. 604/66, attesa l'accertata impossibilita' della prestazione lavorativa. Che' anzi, avuto riguardo alla "ratio" della norma (che, com'e' noto, e' stata predisposta principalmente a tutela della salute del lavoratore) e alla natura dell'organo da cui proviene il giudizio d'inidoneita', non e' neppur ipotizzabile il diverso avviso della parte datoriale e la possibilita' per questa di disattendere il giudizio d'inidoneita' omettendo di porre in atto il recesso, atteso che, in tal caso, essa dovrebbe poi rispondere delle conseguenze teratogene indotte dal proseguimento dell'attivita' lavorativa, sia sotto il profilo della responsabilita' civile, sia sotto il profilo della responsabilita' penale prevista dalle norme antinfortunistiche. 3.1. - Vero e' che, siccom'e' stato ripetutamente affermato dalla concorde giurisprudenza di legittimita' e di merito, il giudizio espresso dall'organo medico di controllo rimane soggetto a controllo in sede giurisdizionale (Cass. 6349/1985, Cass. 2848/1987, Cass. 9067/1993) e puo', pertanto, in tale sede, essere disatteso. E' vero anche, tuttavia, che il successivo giudizio espresso dal CTU nominato nel giudizio conseguente all'impugnativa del licenziamento intimato a seguito dell'accertamento di cui all'art. 5 dello Statuto, non solo non esclude necessariamente la sussistenza delle patologie inizialmente riscontrate e ritenute incompatibili dall'organo pubblico (ben potendo, le stesse, essere soggette a miglioramento ovvero essere state valutate diversamente sotto l'aspetto dell'ostativita' nei confronti dell'attivita' lavorativa), ma, quel che conta, non comporta l'illegittimita' del licenziamento (o meglio, non comporta che tale illegittimita' sia imputabile al datore di lavoro). E' del tutto evidente, intatti, che il datore di lavoro, intimando il licenziamento, si e' limitato a conformarsi al giudizio d'inidoneita' espresso dall'organo per legge deputato a verificare l'attitudine psicofisica del lavoratore. Ne deriva che, al momento del licenziamento e fino quando non sia stata accertata giudizialmente l'insussistenza delle patologie ostative al proseguimento del rapporto, deve ritenersi sussistente, quanto meno sotto l'aspetto putativo, il giustificato motivo oggettivo richiesto dalla legge per la legittimita' del recesso. 3.2. - Ne' puo' imputarsi al datore di lavoro alcunche' solo perche' successivamente, in esisto al giudizio instaurato dal lavoratore, sia emersa l'insussistenza della ritenuta inidoneita', non avendo egli alcuna possibilita' di contestare il giudizio espresso dall'organo medico previsto dall'art. 5. Invero, a prescindere dalla impossibilita' logica di ipotizzare in capo al datore di lavoro capacita' tecniche e conoscenze mediche tali da fargli fondatamente ritenere errato tale giudizio, rimane da considerare che: a) il datore di lavoro non e' tenuto ad attivarsi per contestare le risultanze cui e' pervenuto l'organo medico di controllo, b) il giudizio espresso da tale organo non e', in ogni caso, soggetto a impugnative di sorta, atteso che lo Statuto non prevede alcunche' al riguardo (in tal senso Cass. 4347/1986). 4. - Ne deriva che l'art. 18 dello Statuto, laddove prevede la condanna generalizzata al risarcimento del danno in ogni ipotesi di reintegrazione nel posto di lavoro, non trova alcuna giustificazione causale nell'ipotesi in esame, la quale, in mancanza di espressa previsione legislativa che impedisca il recesso in presenza di un giudizio errato dell'organo di controllo medico, puo' solo dar luogo alla riassunzione ex nunc del lavoratore e non puo' anche far ricadere sulla parte datoriale incolpevole l'effetto di un giudizio medico, alla stessa non imputabile, disatteso in sede d'impugnativa del licenziamento. A ben vedere la discresia legislativa risiede nel fatto che la legge, nonche' prevedere la possibilita' (per il lavoratore e per il datore di lavoro) di impugnare il giudizio anzidetto in sede amministrativa (o sia pure in sede giurisdizionale) al fine di evitare che lo stesso divenga definitivo senza possibilita' di revisione, prevede invece tout court l'impugnativa del licenziamento, il quale e' solo la conseguenza pressoche' ineluttabile di tale giudizio. In altri termini, poiche' l'impugnativa del licenziamento si risolve, nella sostanza, nell'impugnativa del giudizio d'inidoneita', finisce in tal modo per spostarsi la procedura di revisione nella fase contenziosa tra lavoratore e datore di lavoro e, quindi, per essere addossata la responsabilita' del recesso in capo a un soggetto (il datore di lavoro) che, adeguandosi a un atto per lui vincolante e al quale non ha dato causa, ha subito, al pari del lavoratore, tale giudizio. 5. - Cio', per la verita', sembra conseguenza di mancata previsione legislativa, non avendo il legislatore verosimilmente preso in considerazione l'ipotesi che, come accade nel caso di specie, il licenziamento possa anche essere effetto di comportamento incolpevole del datore di lavoro. Resta il fatto, tuttavia, che, ove la Corte delle leggi non ritenga praticabile un'interpretazione costituzionale della norma, l'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 appare in palese contrasto: a) con l'art. 3 della Costituzione, laddove esso, in violazione di ogni elementare principio di uguaglianza e ragionevolezza, addossa la responsabilita' risarcitoria a un soggetto al quale non e' addebitabile l'evento da cui tale responsabilita' trae origine, in forza di una sorta di responsabilita' oggettiva ingiustificata e incompatibile con i principi del nostro ordinamento, b) con l'art. 27 della Costituzione, laddove nella sostanza impedisce al datore di lavoro incolpevole di far valere in giudizio, in via di eccezione, l'insussistenza dell'obbligo risarcitorio posto a suo carico. Conseguentemente il decidente non puo' che sollevare d'ufficio la relativa eccezione d'incostituzionalita'. 6. - La questione prospettata appare indubbiamente rilevante, atteso che, dalla disposta reintegrazione, ai sensi della norma sottoposta all'esame della Corte costituzionale, dovrebbe conseguire l'obbligo risarcitorio a carico del datore di lavoro, nonostante il licenziamento impugnato nella presente causa sia stato determinato dal giudizio d'inidoneita' psicofisica del ricorrente (inidoneita' risultata insussistente nel corso del presente giudizio) espresso in esito all'attivazione della procedura di cui all'art. 5 della legge 20 maggio 1970, n. 300, ragione per cui la causa non puo' essere definita indipendentemente dalla risoluzione della questione stessa.